lunedì 14 dicembre 2009

Istantanea



La sera scenderà pungente, il vento del mare spazzerà via l’umidità ma adesso intontisce le dita e il naso, sono nella casa sullo scoglio, un edificio stretto e lungo su di una delle cento curve che porta a Pizzo Calabro. La casa costruita nel ventennio racconta di un fasto che fu, di un epoca d’oro di cui restano solo le spoglie e la casa stessa. La giornata è fredda e il vento del mare è inclemente qui sul balcone, il balcone più bello dell’intera casa è un corridoio stretto a strapiombo sul mare è così vicino, è così intimo al mare che ti sembra di toccarlo o meglio ti sembra di farne parte di appartenere a quella massa di acqua azzurra che si confonde con l’azzurro delle montagne e quando i gabbiani si tuffano alla ricerca di un surici da mangiare sembra di sentirli con il loro becco entrare dentro di te, privarti di qualcosa e andar via.

La tua appendice fatta di acqua ha dei contorni, li senti, li percepisci ma a stento li vedi, a destra come fosse un abbraccio ci sono le spiagge della Marinella ognuna con il suo gruppetto di grossi blocchi di cemento su cui ogni onda che vuole asciugarsi si deve prima infrangere. Poi c’è la ferrovia che passa sotto lo scoglio che ospita la casa e che con il suo andare doppio incatenata tutta la costa fino a perdita d’occhio fino a quando non scorgi una pianura, come una piccola pausa che le montagne si sono prese, dove un raggio di sole illumina un gruppo sparuto di case. Dopo di esse nulla è più distinguibile solo montagne azzurre, il numero di esse si intuisce grazie alle differenti sfumature che l’azzurro può assumere e che tu nemmeno ricordi ma li proprio loro, le montagne insieme al cielo e il mare te le ricordano.

Alla mia sinistra la casa mi nasconde parte della sceneggiatura, la parte vecchia di Pizzo, le sue case che orgogliose si sono arroccate sugli scogli, di queste pietre hanno assunto il colore giallastro e l’orgoglio di ergersi fieri di fronte al mare, questo pezzo di panorama lo conosco non ho alcun bisogno di vederlo come un amante che intuisce la presenza della propria bella sul talamo senza bisogno di vederla, solo, io avverto l’essere del paese fatto di pietre che si protendono al mare ad aspettare una risposta come se da esso dovesse arrivare una voce.

Ciò che resta dello scenario da questa parte è un altro scoglio abitato, un altro ammasso di roccia ricco di case, chiese e palazzi che guardano il mare: Tropea, bella, bellissima nei mesi caldi, fredda e malinconica oggi alle porte del natale. Anche qui le case hanno il medesimo colore della pietra ma stavolta è l’azzurro che predomina il paesaggio, che riveste ogni cosa che mi permette solo di distinguere il profilo delle cose e intuirne l’essenza. Ma il vero ospite di questa visione teatrale se ne sta in disparte, quasi non volesse mescolarsi agli altri, come tutti gli elementi lontani anch’esso decide a quale blu assomigliare, conscio del fatto che l’eccezionalità sta nella sua presenza, distinta dalla costa, separata nel colore e rarefatta nell’aria è lo Stromboli, vigore e nostalgia si mescolano in un immagine dolce ed eterea che ha vita breve, destinata e scomparire con il liberasi del cielo di tutte le nuvole.

Io li sospeso e confuso da questo festival del blu mi perdo con la mente, vorrei immagazzinare tutto, ogni colore, ogni sfumatura, ogni forma e soprattutto ogni sagoma, ma si fa fatica ad immortalare ogni cosa, ogni teatrante e nello spasimo del pensiero, ripiombo a terra tirato giù da una voce fuori campo: “E’ pronto, a tavola!”. Ciao adesso devo andare.

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